Leopoldo Freyrie, presidente del consiglio nazionale degli architetti, ci spiega il suo ruolo, quello dell’ordine e la sua ricetta per rivitalizzare l’edilizia.
di Luigi Prestinenza Puglisi
Milanese, 54 anni, architetto. Ha realizzato in Italia e nel mondo edifici complessi e sedi di società e di attività commerciali. La sua più grande passione è la famiglia. Con sua moglie Antonella Flores, ingegnere, e suo figlio Michelangelo si diverte ad allevare api in Umbria. Tra i suoi hobby recenti lo studio del pianoforte. Dal marzo 2011 è presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.
Sei presidente del consiglio nazionale degli architetti. Vuoi spiegare ai nostri lettori in cosa consiste il tuo lavoro?
Il Consiglio Nazionale ha la rappresentanza nazionale degli architetti per mettere a sistema il lavoro che gli Ordini provinciali già fanno su concorsi, formazione, cultura. Ha un ruolo di proposta sui temi più importanti: sicurezza dell’abitare, trasformazioni del territorio e dell’ambiente, salvaguardia di un’architettura di qualità. Ha cercato di modificare l’approccio rispetto al passato: non partiamo più solo dai problemi della nostra professione – che sono molti – ma anche da quelli del Paese per proporre soluzioni che producano risultati positivi anche per gli architetti. Insistiamo su temi quali la tutela del paesaggio, lo stop al consumo di suolo, il riuso, i rischi idrogeologici e sismici.
Oggi si parla tanto di abolire gli ordini professionali. Spiegaci brevemente perché sarebbe una cattiva idea.
Le critiche agli Ordini professionali giunte a ipotizzarne la loro abolizione si sono sempre dimostrate pregiudiziali e ideologiche. La funzione degli Ordini degli Architetti e del Consiglio Nazionale è chiara: tenere l’Albo, far rispettare l’etica, promuovere i fini sociali e culturali dell’architettura, salvaguardare il decoro della professione. Il loro ruolo sul territorio è poi fondamentale, essendo uno di quei corpi intermedi dello Stato che consentono il funzionamento del Paese, e rappresentano anche uno strumento moderno di relazione tra lo Stato e i cittadini. Il recente Dpr di Riforma delle Professioni ci impone di garantire ancora maggiormente ai clienti le capacità intellettuali, tecniche e professionali degli architetti; coadiuvare lo Stato come presidi di legalità; offrire ai cittadini servizi per tutelare territorio e ambiente; esprimere le nostre capacità progettuali per il Paese.
In questo momento l’edilizia è in crisi. Cosa possiamo fare per rivitalizzarla?
Serve invertire la politica economica del Paese, spostando sulle città gli investimenti finora destinati alle grandi infrastrutture, rendendo prioritarie le politiche urbane. In questo senso è centrale il ruolo di Ri.u.so, il programma di rigenerazione urbana sostenibile lanciato dagli architetti italiani con Ance e Legambiente. Temi quali la bellezza e la rigenerazione urbana sostenibile rappresentano il futuro delle città e dell’ambiente e una concreta opportunità per uscire dalla crisi. Così come il nuovo piano di housing sociale che gli architetti italiani da tempo prospettano.
Tu ci credi alle città intelligenti? A proposito, cosa sono?
Sono il modo “intelligente” di riprogettare le città senza consumare suolo ed energia, con strategie integrate che affrontino il problema della sicurezza, della mobilità, dei rifiuti, dei trasporti e degli spazi pubblici. Servono però regole certe che pongano fine alla bulimia burocratica che fino ad oggi ha soffocato e bloccato qualsiasi politica urbana. Occorre concentrare sulle città un’azione integrata che metta a sistema progetti innovativi di riuso radicale delle aree urbane per dare agli italiani case sicure, abitabili, efficienti e belle, anche demolendo e ricostruendo.
E perché, invece, le città in cui viviamo sono così brutte? È colpa degli architetti, dei politici, dei costruttori o di noi cittadini?
La colpa non è mai di uno solo. L’errore politico è stato quello di non aver difeso il territorio lasciando le nostre città prive di qualsiasi programma di valorizzazione. È certo anche che gli architetti per troppo tempo si sono allontanati dai bisogni delle comunità. Ora, finita l’epoca dell’architettura magniloquente, è tempo di progetti partecipati, sviluppati nel confronto con i cittadini e articolati sui loro bisogni. Le case, le scuole, le fabbriche, gli spazi pubblici devono essere caratterizzati da standard ambientali e di sicurezza molto più elevati di quelli attuali. Quanto alla bellezza è un valore aggiunto non programmabile: dipende dal talento dell’architetto.
È possibile pensare a una legge che stimoli la produzione di edifici di maggiore qualità?
Le nostre proposte hanno concorso, alla fine dello scorso anno, alla presentazione di un disegno di legge che per la prima volta integra i temi del territorio con quelli del contenimento del consumo di suolo, dello sviluppo di aree verdi e della riqualificazione degli edifici, affrontando la questione della rigenerazione urbana sostenibile in un’ottica che non riguardi solo il patrimonio immobiliare, ma anche l’ambiente, i territori, gli spazi pubblici, il risparmio energetico. Faremo in modo che venga ripresentato al nuovo Parlamento prevedendo incentivi per il riutilizzo degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti; promuovendo misure per il risparmio e l’efficienza energetica delle nuove costruzioni e incentivi per le trasformazioni all’insegna dell’abbellimento e dell’intensificazione di spazi verdi.
Dacci tre idee per avere delle città più ecocompatibili.
Ne basta una sola ed è Riuso. La rigenerazione urbana e dei territori realizza città belle, efficienti da un punto di vista energetico e funzionali. Porta alla crescita economica, culturale e sociale indispensabile all’Italia.
Cosa ne pensi dei pannelli solari e delle pale eoliche? A tuo giudizio servono a diminuire la bolletta energetica o corrono il rischio di deturpare il territorio?
Le soluzioni sono sempre tecniche mai ideologiche: le scelte dipendono dal contesto climatico, paesaggistico e ambientale.
Oggi per costruire un’opera pubblica servono più di dieci anni, a volte non ne bastano quindici. Perché ci siamo ridotti così male?
Perché c’è vera e propria bulimia burocratica. Le leggi e i regolamenti dell’edilizia che dovrebbero consentire a ogni cittadino di migliorare il proprio abitare, rispettando i diritti degli altri e quelli dell’ambiente, hanno invece prodotto una pessima qualità delle costruzioni, il massacro del paesaggio, l’inadeguatezza a far fronte alle conseguenze dei terremoti. Serve rivedere norme ormai incomprensibili, se non contraddittorie, e approvare una legge urbanistica nazionale adeguata alla realtà, declinabile regionalmente, sulla base di un progetto condiviso per l’intero territorio italiano, contro il consumo del suolo e capace di integrare rigenerazione urbana e difesa del paesaggio.
Molti giovani architetti emigrano all’estero, per mancanza di lavoro. Non ci sono troppi architetti in Italia?
Rispetto ad altri Paesi europei e soprattutto in questo periodo di sofferenza di tutto il comparto edile e con le commesse pubbliche al palo, il numero degli architetti – circa 150mila – potrebbe sembrare eccessivo. Manca quella rivoluzione della politica economica del Paese che sposti gli investimenti dalle grandi opere alle politiche urbane con incentivi ad hoc per giovani professionisti, semplificazione normativa, strumenti concorsuali e meritocratici nella scelta dei progettisti. Più che guardare all’estero consiglio ai giovani colleghi di fare rete, condividendo e integrando professionalità, magari a distanza. La nostra professione ci consente di guadagnare un mercato più ampio rispetto a quello di residenza, lavorando in team e, grazie ad internet, anche dal nostro studio.
Trovi la lampada di Aladino e hai a disposizione tre desideri. Diccene almeno due, il terzo può rimanere privato.
I miei desideri sono quelli di tutti gli architetti: primo, avere la possibilità di poter realizzare un progetto, essendo stati scelti perché siamo bravi, e non perché amici di qualcuno; secondo, che il nostro progetto sia ben realizzato consentendo a chi ci vive di essere sereno.
(Maciachini Business Park Milano – Foto: Paolo Riolzi)


