single-image

Gianfranco Bombaci e Matteo Costanzo, fondatori dello studio di architettura 2A+P/A di Roma

Gianfranco Bombaci e Matteo Costanzo sono i fondatori dello studio di architettura 2A+P/A di Roma. Negli ultimi anni sono stati protagonisti di diversi progetti in Italia e all’estero, tra i quali la scuola in Afghanistan intitolata alla giornalista del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli, uccisa nel paese afghano nel 2001.
di Luigi Prestinenza Puglisi

Come vi presentereste ai nostri lettori?
Siamo uno studio di architettura fondato a Roma da Gianfranco Bombaci e Matteo Costanzo e ci occupiamo di architettura, urbanistica e paesaggio. (www.2AP.it).

Mi ricordo di avervi conosciuto diversi anni fa quando, studenti universitari, pubblicavate una rivista dal titolo 2a+p. E anche voi vi chiamate 2a+p. Perché?
“2A+P=64 cm” è la formula che stabilisce il corretto rapporto tra l’alzata e la pedata nella progettazione di una scala, una tra le prime regole insegnate alla Facoltà di Architettura. Noi l’abbiamo usata come acronimo di arte, architettura, pensiero, che erano i punti di vista alla base della nostra rivista. Molti ci hanno iniziato a conoscere attraverso questa sigla, poi diventata il nome del nostro studio.

Avete lavorato molto intensamente sul tema della sostenibilità. Per esempio proponendo degli orti urbani. Cosa sono? Funzionano?
Gli orti urbani sono uno spazio naturale usato, spesso in modo spontaneo e informale, per coltivare all’interno della città. Lo riteniamo di fatti un modo semplice ed efficace per riscoprire il territorio, immaginandolo come bene comune da curare e da coltivare. Costituiscono inoltre uno straordinario dispositivo per innescare comunità e forme di condivisione. Tutto è nato nel 2003 quando abbiamo proposto, per il concorso organizzato dall’UIA “La celebrazione della città” di realizzare una serra e alcuni orti negli spazi verdi di Corviale, che però non è andata in porto. Poco dopo, Stalker e la Fondazione Adriano Olivetti ci hanno coinvolto nel progetto Immaginare Corviale, da cui è nato un progetto partecipato dagli stessi abitanti. Anni dopo abbiamo realizzato un prototipo di recinzione di orto per la mostra Torino Geodesign, attraverso il riciclo dei tessuti microforati utilizzati per le pubblicità sui cantieri e la partecipazione degli abitanti del quartiere della Falchera di Torino.

Vi è poi una piazza che ho visto pubblicata anche sulla rivista Domus…
Nel 2005 abbiamo realizzato Round Blur, una rotonda stradale che funziona anche come capolinea della linea del tram 4 che attraversa tutta la città. Frutto della vittoria di un concorso per artisti, “Artegiovane”, è stato il nostro primo lavoro realizzato. Al tempo indagavamo con interesse il rapporto tra elementi naturali e artificiali, in particolar modo quali nuovi significati era possibile individuare facendoli interagire in modo inaspettato.

Ci sono progettisti del recente passato ai quali vi ispirate? A proposito nel numero precedente di GreenBuilding magazine abbiamo pubblicato un’intervista a James Wines…
Il progetto del “Condominio Produttivo” in parte si ispira a Wines. Esistono nella tradizione del Novecento e più in generale nella storia dell’architettura una serie di riflessioni, considerate in un primo momento utopiche, che oggi possono essere rilette come occasioni progettuali inespresse, visioni che noi oggi percepiamo come il seme di forme innovative di realismo. Ci riferiamo a un’ampia tradizione che va da Yona Friedman a James Wines, da Archizoom a Ettore Sottsass. Ciò che è stato intravisto quarant’anni fa è in questo momento praticabile.

L’ecologia non è però solo ridurre la bolletta energetica. Credo che ci sia anche bisogno di edifici percettivamente piacevoli. Voi che rapporto avete con i materiali da costruzione?
La riduzione della bolletta è uno dei modi di sensibilizzare le persone al tema e non vi è dubbio che tra i benefici vi sia anche un risparmio economico. Tuttavia, come tu sottolinei, crediamo sia fondamentale che gli aspetti ecologici non prendano il sopravvento sull’architettura o ne giustifichino lo scarso risultato. Siamo convinti piuttosto che le regole dell’architettura siano sempre le stesse, alle quali si aggiunga un’importante consapevolezza ambientale delle scelte progettuali (nel mondo anglosassone, infatti, parlano di environmentally conscious). In questo senso non abbiamo particolari preferenze per materiali specifici. La consapevolezza delle esigenze ecologiche ci porta a considerare caso per caso, a escludere soluzioni preconfezionate o preconcette.

Avete costruito una scuola in Afghanistan con mezzi molto ridotti. Ce ne volete parlare?
Nel 2009 siamo stati invitati, con gli studi IaN+ e ma0, da Mario Cutuli e la Fondazione Maria Grazia Cutuli a realizzare una scuola in Afghanistan. È stata un’esperienza straordinaria. In un momento storico in cui è l’immagine del progetto, piuttosto che il progetto stesso, a essere al centro del dibattito architettonico, è stato importante riscoprire come sia fondamentale restituire al nostro lavoro di architetti, un ruolo diverso. La scuola non pretende di risolvere grandi problematiche applicando sul territorio teorie politiche o concetti utopici, ma si prefigge di rispondere a esigenze specifiche. Il processo è stato molto veloce e la scuola è stata inaugurata nell’aprile del 2011. Il percorso è stato fulmineo, ed emozionante, attraversando i confini di paesi in conflitto.

Anche oggi siete impegnati con una rivista che ha un nome strano: San Rocco. Perché si chiama così, a chi è rivolta e di che temi si occupa?
San Rocco è il nome di un luogo a Monza. Un luogo abbastanza brutto. Nel 1971, Giorgio Grassi e Aldo Rossi parteciparono a un concorso di architettura per questo luogo. Il loro progetto non fu mai realizzato. San Rocco fu il prodotto della collaborazione di due giovani architetti. Il progetto non contribuì significativamente alla successiva fama dei due autori. Per questo ci sembrava calzare bene con una nuova esperienza collettiva che riuniva quattro studi di architettura, due fotografi, e uno studio di grafici: la rivista San Rocco è formata da 2A+P/A, baukuh, Salottobuono, Office KGDVS, Giovanna Silva e Stefano Graziani, e pupilla grafik. Il nome esprime anche la natura fondamentalmente provinciale dell’Italia (è il santo protettore degli appestati) nei confronti del contesto europeo ed internazionale, ai margini dei grandi investimenti quanto del dibattito architettonico, eppure ancora capace di esprimere un punto di riferimento teorico. Da questo deriva la scelta di produrla esclusivamente in inglese, rivolgendoci a un pubblico quindi non solo italiano. Il progetto inoltre è a tempo determinato, venti numeri monografici da sviluppare nell’arco di circa cinque anni. È inoltre un’iniziativa del tutto indipendente, ci siamo configurati come editori e distributori, affrontando difficoltà di natura organizzativa ed economica. Il progetto sopravvive grazie alle vendite (soddisfacenti essendo i primi quattro numeri esauriti) e alle donazioni volontarie di sostenitori del progetto (abbiamo coinvolto in questi primi due anni di attività circa un centinaio di donor).

Quest’anno siete stati invitati alla biennale di architettura di Venezia. Avete presentato un video sulla necessità di ripensare la crescita urbana… In concreto, che proposte avanzate?
Per il Padiglione Italia della XII Biennale di Venezia abbiamo realizzato un video, con TSPOON e Angelo Grasso, sul tema del consumo di suolo. L’invito che ci è stato fatto, da parte di Luca Zevi e Maria Luisa Palumbo, è stato quello di realizzare una ricerca, a livello nazionale, sul fenomeno del consumo di suolo e le possibili strategie di rigenerazione urbana capaci di ridurne l’intensità. Tre linee generali d’intervento sembrano delinearsi: densificare le città, recuperando e rigenerando l’esistente o riempendo i vuoti lasciati dall’espansione; riqualificare dal punto di vista energetico il patrimonio residenziale esistente, obsoleto e fatiscente; contenere l’espansione urbana attraverso l’istituzione di cinte verdi o aree protette sulle quali sia impossibile far “atterrare” un solo metro cubo di costruito.

Tre opere di architettura che vi piacciono particolarmente e perché…
Il Centre Pompidou di Piano e Rogers a Parigi, l’architettura contemporanea per eccellenza, una grande macchina per esporre, un capolavoro ancora insuperato. La casa di Cini Boeri alla Maddalena, una piccola abitazione incastonata tra le rocce dell’isola, un bunker che si apre sul mare. Il palazzo dei congressi di Adalberto Libera a Roma, talmente contemporaneo da riuscire, a distanza di quasi un secolo, a ospitare un festival di musica elettronica, trasformandosi in una monumentale discoteca.

Come vi trovate a lavorare in Italia? Avete mai pensato di trasferirvi all’estero? E che consiglio dareste a un vostro collega che oggi si affaccia alla professione?
Pensiamo spesso all’idea di trasferire il nostro studio, o aprire una seconda sede all’estero. Restare in Italia ci sembra oggi alquanto pericoloso, anche se è nostro desiderio riuscirci.

Scuola Maria Grazia Cutuli
Scuola Maria Grazia Cutuli
Ground Specific
Ground Specific
Round Blur
Round Blur
Casa della memoria
Casa della memoria
The Ring
The Ring

 

You may like