È quanto confermano analisi e ricerche. La più recente quella realizzata da Mcgraw Hill Construction, su un campione di imprenditori edili di 62 paesi: il 51% di loro è intenzionato a spostare verso il segmento dell’edilizia sostenibile almeno il 60% della propria attività entro il 2015.
di Daniele Fabbri
Nel 2050 gli edifici produrranno più energia di quanta ne consumano, saranno organizzati per ospitare piccole aree di agricoltura urbana, avranno facciate intelligenti in grado di adeguarsi ai cambiamenti climatici e avranno eliminato ogni possibile causa di inquinamento indoor. O almeno questo è quello che gli architetti e gli esperti più visionari stanno immaginando. Ma quello che è certo, e che tutte le analisi e le ricerche confermano, è che il futuro prossimo sarà sempre più legato al GreenBuilding. Basta vedere i dati: il mercato dell’edilizia sostenibile valeva circa 10 miliardi di dollari nel 2005, che sono saliti a 85 miliardi nel 2012 e si stima che potranno raggiungere i 200 miliardi nel 2016, mentre già ora il 20% del mercato residenziale americano si sta orientando verso modelli di costruzione sostenibile e, sempre negli Usa, sono circa 50mila i progetti di costruzioni certificate Leed in atto in questo momento.
A confermarlo arrivano i risultati di una ricerca realizzata da McGraw Hill Construction, su un campione di imprenditori edili di 62 Paesi: il 51% di loro è infatti intenzionato a spostare verso il segmento dell’edilizia sostenibile almeno il 60% della propria attività entro il 2015. Una percentuale in netto aumento rispetto alle rilevazioni precedenti, che vedevano decisi a fare questo passo il 13% degli intervistati nel 2008 e il 28% nel 2013. Una quota che è in questo anno raddoppiata in Brasile, Germania e Norvegia e cresciuta di più del 30% negli Stati Uniti, negli Emirati Arabi, a Singapore e nel Regno Unito.
Più interessante ancora è analizzare le motivazioni di questo cambio di atteggiamento: se fino a qualche anno fa chi intraprendeva una green revolution lo faceva per questioni ideali o morali, per la convinzione di “fare la cosa giusta”, ora sono le motivazioni di business a prevalere. Anche se in modo ancora un po’ confuso: il 76% degli intervistati ritiene infatti che il problema più rilevante di questa svolta sia legato ai maggiori costi iniziali. Anche se poi la stessa percentuale si dice convinta che il costruire sostenibile possa contribuire ad abbassare i costi operativi, e un 39% pensa di poter avere un risparmio di circa il 15% nei prossimi cinque anni.
“Grazie alla maggiore efficienza nella gestione di acqua ed energia, gli edifici verdi permettono di abbassare i costi di costruzione risparmiando nel contempo risorse naturali preziose”, spiega John Mandyck, il responsabile della sostenibilità di UTC, che ha collaborato alla ricerca. Secondo l’esperto sta proprio in questa combinazione virtuosa di risparmi nei costi di costruzione e di buona gestione ambientale a creare un valore riconosciuto dal mercato e quindi un aumento dell’interesse verso questo tipo di realizzazioni.
Secondo gli analisti americani la gran parte di questa green revolution non riguarderà però nuove costruzioni quanto invece la riqualificazione di vecchi edifici, con l’attenzione centrata soprattutto sulle soluzioni per l’energia solare, per il risparmio idrico e per l’eliminazione di tutti gli agenti chimici responsabili dell’inquinamento indoor. Inquinamento che è fra l’altro uno degli aspetti percepiti come più preoccupanti dai consumatori, uno dei motivi dell’aumento della richiesta di case ecosostenibili. Che è ormai una certezza: l’81% degli operatori intervistati ritiene infatti che il pubblico si aspetti edifici verdi e che sia un’opportunità di business cominciare a farli.
Sembra insomma che si sia finalmente alle soglie di quel cambiamento epocale che dovrebbe fare del GreenBuilding l’unico modello accettabile. Finita la fase del greenwashing, in cui più che una vera e propria conversione a nuovi modelli per molti operatori si era trattato di fare un’intelligente operazione di marketing, ora il mercato chiede prodotti che possano dare un’effettiva garanzia sia dal punto di vista delle prestazioni che della sostenibilità del loro ciclo di vita. Perché in questa catena di valore, dove diventa essenziale ridurre al minimo lo spreco di risorse naturali, anche la provenienza delle materie prime e il tipo di processo produttivo sono componenti fondamentali.
Le aziende che, come Kerakoll, hanno da tempo avviato una convinta operazione di riconversione sostenibile del ciclo di produzione e di prodotti, in questo scenario di mercato diventeranno partner privilegiate per gli operatori intenzionati a “cambiare anima”. Perché saranno in grado di proporre prodotti con alte prestazioni dal punto di vista ambientale. E soprattutto, perché potranno dimostrare che non esiste un rapporto necessario fra utilizzo di materiali ecocompatibili e aumento dei costi operativi. Al contrario, questi materiali hanno il più delle volte costi simili a quello dei materiali tradizionali, ma con prestazioni più elevate nel tempo per esempio a livello di risparmio energetico.
Senza contare che la diminuzione dell’inquinamento indoor consentito dai prodotti green impatta in modo sensibile sui costi legati alle varie patologie legate alla permanenza in ambienti insalubri.
Tutti buoni motivi, soprattutto a livello di business, per dare il via alla trasformazione verso il GreenBuilding.