single-image

Il secolo e mezzo di follia chiamata Mole

Nel 2009 l’edificio in muratura più alto del mondo è stato al centro di un intervento di restauro… acrobatico. Con operatori funamboli che hanno scalato il profilo della cupola.
di Maurizio Lupo

Prima di realizzarla l’architetto Alessandro Antonelli disegnò la cupola della sua famosa “Mole” sul greto del torrente Stura, in dimensioni naturali. Desiderava avere chiaro l’effetto finale, che tenne segreto per sé, nel timore che qualcuno potesse infrangere il suo sogno. Voleva erigere e legare al proprio nome l’edificio in muratura più alto del mondo. Lo è tuttora.

Ma nella Torino di metà Ottocento avrebbe potuto essere considerata impresa troppo ardita e costosa. Così Antonelli, che tutto già disegnava nella propria mente, pianificò di realizzarla in lotti successivi, da presentare alla committenza a lavori avviati, per impedirle di tirarsi indietro. Con tale scaltra trama pianificò sei progetti in crescendo. Partì con opere preventivate nel 1862 per un immobile di cinque piani, da 280mila lire, pari a un milione e 660mila euro.

Lieviteranno a oltre un milione di lire del 1897, circa 5 milioni di euro, quando la Mole raggiungerà i 163 metri e 35 centimetri. Sono costi che oggi possono sembrare abbordabili. Ma all’epoca, dato l’alto valore di acquisto della moneta, sembravano follie.

È quanto racconta l’architetto Gianfranco Gritella, massimo esperto della Mole Antonelliana, dove dal 1994 al 2000 ha progettato e diretto i cantieri che hanno innestato al suo interno il Museo del Cinema. Sua è la stupefacente rampa che si inerpica nella volta. Sue sono le indagini che hanno indagato i segreti di Alessandro Antonelli. Ha accertato anche l’origine del nome: “La chiamarono Mole i giornalisti – spiega – fra il 1914 e il 1916, per indicare un edificio di grande complicazione. Antonelli l’aveva progettata come sinagoga, senza dargli nome”.

L’Università israelitica nel giugno 1860 aveva acquistato 4.850 metri quadrati di terreno, liberati dai bastioni di Vanchiglia. Nel 1862 bandì con il Comune un concorso per edificare un complesso religioso. Risposero quattro architetti. Ma le loro idee non furono giudicate idonee. Il Comune chiese lumi ad Antonelli, quale “oracolo superiore di fama europea”.

Rispose il 14 agosto 1862 con il primo progetto da 380mila lire, per un edificio a pianta quadrata, che comprende sinagoga, asilo, agenzie di cambiavalute, università israelitica e residenze. Richiese l’acquisto di altri 2mila metri quadrati. La prima pietra fu posta nell’aprile del 1863, quando Antonelli aveva pronta la seconda variante. Migliorava l’edificio e alzava i costi.

Altro ritocco avvenne per aggiungere il grande pronao su via Montebello, un alto tamburo quadrato e la volta a padiglione. A metà del 1864 le spese fanno tremare la committenza, che diffida Antonelli a fare ulteriori rincari. Lui replica con il progetto del 18 febbraio 1865, che supera le 412mila lire.

La comunità ebraica chiede aiuto al Comune, che ne mette 39mila. Antonelli giura che finirà tutto nel 1866, ma i lavori vengono interrotti. Riprenderanno nel 1872, con un nuovo progetto. “Antonelli – dicono in Comune – è divorato dalla smania di accoppiare il suo nome a un monumento esemplare. Lavora di soppiatto per elevarlo.” La cupola è quasi doppia di quella prevista. Il tempio già sfiora i 114 metri. I costi nel 1869 quotano a 640mila lire. Ne servono altre 350mila. La comunità ebraica nel 1870 desiste, teme che l’edificio possa crollare. Il Comune è pronto a evacuare il quartiere. Pensa di demolire la cupola e sostituirla con un bulbo in carpenteria metallica. Antonelli si rifiuta. Si fa innalzare in una cesta sospesa nella volta, per dimostrare la sua solidità. Convince il Comune, che nel 1878 con sole 150mila lire rileva l’edificio, per farne il primo Museo del Risorgimento. Il che offre ad Antonelli l’occasione di un’ultima variante, nel 1886. È quella che darà alla Mole le dimensioni finali sognate dall’architetto. Le inaugurerà il figlio Costanzo, il 10 gennaio 1897, con la posa del genio alato che ne culminerà la guglia.

© La Stampa

DSC_4262 DSC_8173 quota167

You may like